Rava

Nuova Antologia
Vol. LXXXII, Serie IV — io Luglio 1899.


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J. K. HUYSMANS



Les soeurs Vatard (Paris, Charpentier, 1879). — En ménage (Id., 1881). — A. Rebours (Id., 1884). — L'art moderne (Id., 1883). — En rade (Paris, Tresse et Stoch, 1887). — Là-bas (Id., 1891). — En route (Id., 1898). — La Cathédrale (Id., 1898). — A vau-l'eau (Id., 1894). — Certains (Id., 1889).



Mi ricordo paesaggi boemi di speciale strana tristezza. Non sono veramente pianure; la terra ogni tanto si solleva e ridiscende a ondate morte; la terra è violacea, prende dei rossi malati come quelli d'un fiore che appassisca nell'umidità, quando ha piovuto o quando la solita nebbia è più densa, più grassa, più greve. Questi paesaggi si traversano sopra strade di polvere o di fango; si guarda, ed è sempre la stessa visione d'una tinta oscura, qualche volta, lontano, c'è un gruppo d'alberi o uno spazio coltivato, e s'indovina la stanchezza di quegli alberi senza succo vitale e la miseria di quei solchi sassosi; nell'aria vomitano del fumo frequenti camini di fabbriche; ma non si ascoltano le voci del lavoro; non canti di operai, non soffiare di mantici, o battere di ferri, o stridere di catene, o respirare ritmico e gigantesco di fornaci; parrebbe che quei camini abbiano le loro fondamenta in una miniera, e che la terra soffochi il suono. Rompono la monotonia del colore con una macchia aspra e viva i laghi di calce, le case, povere case tutte bianche, e torme di oche che vengono innumerevoli, curiose, mal sicure, e ostili ad ogni passo di cavalli e ad ogni sonagliera.

Questi paesaggi mi hanno dato e mi rievocano, se io ci penso, una indefinibile impressione triste; un'impressione complicata, in cui fosse il rammarico d'un uomo che torni dove ha molto vissuto in giovinezza, e dove alle praterie, ai boschi, ai fiori, abbia lasciato ricordi della madre, del padre, di amici, d'innamoramenti; torni, o non trovi nulla; una guerra, un'inondazione, forse anche soltanto il progresso che abbia scavato miniere nelle viscere di quel terreno, crearono la landa...; e poi una impressione di smarrimento e di ansietà; e poi una impressione di fastidio, e la ricerca e le imagini che non voglio, e da cui non posso liberarmi, come nella febbre, dell'esistenza delle sensazioni, di tutte le giornate di quegli uomini costretti a vivere lì, dove non sorride mai la natura, dove è sempre pallido il sole. E poi l'immedesimarmi in quella povera gente, imo a sentire per un momento come sentirei se fossi anch'io lì prigioniero; e allora una impressione di stanchezza, una gran noia della vita.

Ebbene, certi libri di J. K. Huysraans, i romanzi e le novelle della prima maniera Les soeurs Vatard, En ménage, En rade, un poco anche A rebours, ma sopra tutto A vau-l'eau, mi richiamano alla mente le impressioni di quei paesaggi. Nella prima maniera è un seguace dei Goncourt, di Zola, se vogliamo risalire al maestro, di Flaubert (per esempio, nelle descrizioni di cose strane, e in quel bearsi, con la parola, frammezzo ai colori, ai fiori, alle pietre rare, ai profumi, ricorda il Flaubert di Saìambô); ma non è un imitatore, e afferma nella scuola naturalistica una individualità precisa: gli altri della scuola, tratteggiano gli avvenimenti, e gli ambienti in modo oggettivo; uomini e cose, nei loro libri, si vedono come in una grande, accurata, continua descrizione; e non sembra che la descrizione di un'anima sia pili importante per loro che la descrizione di una via, di un magazzino, di una macchina, o di una boccetta di Heliotrope. Huysmans è preoccupato come gli altri di cercare la realità; ma sebbene qualche volta si lasci trascinare da una smania di descrizione, e ci dia perfino pagine descrittive che hanno smarrito ogni legame col libro, generalmente si ferma molto di più alla vita intima del pensiero umano, dei sentimenti, delle sensazioni, e gli uomini e le cose, nell'opera sua, si vedono attraverso l'anima di un protagonista. È questo un carattere che Max Nordau si è dimenticato, così da riuscire a scrivere in Entartung (Degenerazione) che Huysmans, « tipo dell'isterico senza originalità, vittima predestinata di qualunque suggestione, cominciò la carriera letteraria quale fanatico imitatore del signor Zola... e poi, per un mutamento brusco d'idee altrettanto isterico si allontanò dal naturalismo, ricoperse Zola e il naturalismo delle ingiurie più vive, e si pose a scimmiottare i diabolici, e in particolare Baudelaire ». Max Nordau dimostra così di non aver letto i libri di Huysmans; se no avrelibe per lo meno capito che il mutamento di idee non ò brusco, ma lentissimo, e facile a seguire. Del resto Nordau ci prova subito di non aver letto questi libri, scrivendo che Des Esseints, il personaggio principale di A rebours, ricompare ed è personaggio principale anche in Là-bas; mentre non vi si vede più neppur quel nome. Ma in Entarttung si capisce che l'autore non esce volentieri da un duplice sistema: o parla soltanto di un libro (o di un quadro, o di un loglio di musica), e condanna tutta la produzione dell'artista sopra una parte infinitesima del lavoro; o considera in generale tutta l'opera e per trarre le conclusioni si basa soltanto sopra un lavoro scelto tra i meno riusciti. Se poi consideriamo che per giudicare l'arte e gli artisti adopera curiosissimi criteri, molto somiglianti, in verità, ai criteri meccanici e matematici di un pittore, il quale, esaminando la macchina costruita da uno scienziato, ne proclami l'ignoranza perchè la macchina non risponde ai principi del chiaroscuro, o dell'armonia dei toni, infine perchè non è bella, vediamo quanto peso si possa accordare alla critica in quel libro dove l'intelligenza reale dell'autore è soffocata da una meravigliosa pretensiosità: quando Ruskin scriveva, non e'era Nordau, ma sicuramente quella grande anima di artista inglese lo preconizzava scrivendo così: «... non possono per il loro orgoglio enorme paragonarsi che ai vermicciattoli del legno, sperduti nella cornice di un quadro d'un qualche gran pittore; assaporano da conoscitori il legno, ma poi, arrivati alla tinta, la trovano cattiva e dichiarano che anche questa combinazione, non cercata e non desiderata, è il risultato normale della azione delle forze molecolari... ».

E questo carattere che Nordau non ha veduto nei libri di Huysmans, questo carattere tanto personale, fa che ciascuno dei suoi libri rechi l'impronta viva dello stato d'animo dell'autore; e così possiamo seguitare il movimento che lo trarrà dal realismo fra i mistici ; e così possiamo trovare fin dal principio i segnali precursori della evoluzione; e così riceviamo dai libri della prima maniera quelle impressioni di cui dicevo, e che i libri dei suoi compagni non darebbero mai, perchè un'opera artistica non dà che le emozioni vissute dall'autore quando la creava.

A vau-l'eau, poche pagine che non sono una novella come non sono romanzi gli altri libri, perchè hanno un così tenue, misero intreccio che si perde e si dimentica leggrendo, mi pare che sintetizzi il metodo di Huysmans e il suo pensiero. È la semplice storia di un impiegato: chiudiamo quelle pagine e domandiamoci cosa vi è scritto, quali grandi disgrazie siano capitate al signor Jean Folantin, l'abbandono d'un amico, della innamorata, la morte di un figlio, la rovina di una esistenza tutta di acerbo lavoro, il crollo di aspirazioni lungamente carezzate, o di antiche illusioni..., dobbiamo rispondere: ma no, nulla, proprio nulla; abbiamo veduto Jean Folantin entrare e uscir di casa, andare al suo ufficio del Ministero, e ritornare, girare delle trattorie dove si mangia male, qualche volta permettersi dei facili, poco dispendiosi, e brevi amori... E nondimeno una tristezza pesante invade: quella vita uggiosa, uguale, senza uno scopo, senza una méta che sia nell'interminabile decorrere dei giorni un punto cui si cerchi di arrivare ; senza speranza o senza paure di un cambiamento nel domani; senza il robusto piacere della lotta, senza agitazioni di odio o di amore; e senza un affetto per una madre, per una moglie, per un bambino, è tracciata con un disegno così abile, così esatto, così accurato, che si finisce per vivere di quella vita, mentre si legge.

Nel piccolo libro non è trascurato alcun particolare della esistenza quotidiana, e certo molto della impressione di verità che lascia, è dovuto a questa dipintura precisa e sobria. Ma l'autore sente, guardando la vita, un'impressione di vuoto, di fastidio, di noia dolorosa, scrive così come sente, e a questa sincerità sopra tutto dobbiamo l'acutezza delle immagini che provoca in noi. E lo ritroviamo così anche negli altri libri, lo ritroviamo a guardar così tristamente la vita. Huysmans non ha un'indole entusiastica, di appassionato, ha un cuore freddo per natura, o immensamente disilluso, e amareggiato fino nelle più intime profondità: non scrive quasi mai d'amore e quando scrive, come nelle Soeurs Vatard, vi è nelle sue parole la melanconia un poco ironica di alcuno che fin da principio, vedendo due innamorati, sappia che si divideranno, che non si vorranno pili bene, che avranno forse, l'una per l'altro, dell'inimicizia. Veramente anche quando non si conosce nulla della storia d'amore, quando si comincia a leggerla appena, sembra che fra le righe sia sempre scritto: oh non credete, tutto questo è illusione, tutto questo passerà lasciando un senso un po'pili grande di male, e un poco più di stanchezza... E anche la storia d'amore è tutta coperta dalla tinta pallida che sembra distesa sopra tutti questi libri.

Le Soeurs Vatard sono Celine e Désirée, operaie in una fabbrica; Celine in principio è l'amante di Anatole, scioperato, ubriacone, e cui piace di godersi i quattrini della sua donna; è brutale e picchia sodo; Celine lo lascia, spera di migliorare le proprie condizioni con un pittore, Cyprien, che ritroveremo nell'En ménage, ma poi si stanca di lui, che è freddo, che la disprezza un poco e la tiene lontana, rimpiange le scenate di Anatole, arriva a rimpiangerne anche i pugni che diveutano nel suo pensiero gli indizi di un bel carattere e di una passione forte; ritrova Anatole, combina con lui di andarsene, e una sera, da un caffè concerto, dove Cyprien l'aveva condotta, fugge. Désirée è onesta. Un giovane timido entra a lavorare nella fabbrica per la prima volta; le domanda qualche cosa; lei risponde gentilmente, s'innamorano, credono d'innamorarsi. In origine V idea di Auguste sarebbe di aver Désirée per amante; poi, siccome vede che la piccina non consentirebbe, gli nascono mille pensieri di felicità coniugale, e domanda di sposarla. Ma non lo vuole il padre di lei, perchè Auguste guadagna poco; succedono scene in famiglia, disperazioni, ma infine Désirée combina lo stesso degli appuntamenti, la sera. E qui, nella descrizione di questi ritrovi, dell'attesa degli innamorati, delle passeggiate notturne, Huysmans spoglia la rigidità e l'asprezza che incombono solitamente, forse per una angosciosa ricerca del vero, sopra i suoi libri. La sua narrazione delicata, bella, perchè vi è diffusa sempre la melanconia, perchè non vi è scritto niente che non possiamo ritrovare in noi, e che non paia raccontato dalle anime di quei due, non dalie loro labbra, fa che ci sentiamo soggiogati, e compresi da un'ammirazione, la quale molte altre volte sentiremmo nascere, e che poi vediamo invece ricacciata da alcune pedanterie o stramberie, o brutalità, cui non si può perdonare poiché non hanno la scusa della naturalezza; vediamo che lo scrittore le ha cercate, le ha volute così.

Ma passano i giorni, arriva l'inverno, il freddo; i ritrovi non garbano più come prima a Désirée, che non è più stimolata dalla opposizione del padre; e illanguidisce l'amore: Désirée manca ai ritrovi; Auguste, per occupare la sera, comincia ad andar da un amico, e a sorridere alla cognata di lui, una biondinella; cade l'amore. Oh come è triste questa semplice cosa; tutte le cose che finiscono hanno molta tristezza, ma in questo libro la auccessione dei fatti e dei pensieri che meneranno con un moto lento alla rovina, è scritta, come se Auguste e Désirée segnassero, ora per ora, con straordinaria lucidità, tutto quanto avviene, e pare a noi, che leggiamo, di veder cadere un sogno che appartenga a noi.

Quando si rivedono l'ultima volta, richiamano il tempo che hanno vissuto insieme: «... Eppure ti ricordi le belle ore che abbiamo trascorse ? ti ricordi quando sei venuto alla fabbrica, il giorno che t'incontrai alla fiera del panpepato; le passeggiate la domenica quando eravamo in libertà; i nostri buoni pranzi sotto gli alberi della Belle Polonaise? E tutti e due rievocarono gli scambi di occhiate nei magazziui, le gite a braccetto nel quartiere della Gaité, i baci nelle strade buie; poi rimasero esitanti, ed arrossirono: la scena in cui sarebbe caduta nelle sue braccia se lui avesse ardito di più, apparve dinanzi a tutti e due contemporaneamente; abbrividirono, e restarono distratti pensando che di certo si sarebbero sposati, se quella sera fosse finita in un altro modo. I ricordi che avevano rimuginato gettavano nella loro anima la desolazione... Si alzarono e nella strada, senza pronunciar parola, egli le diede la mano; ma lei gli offerse il viso, e si abbracciarono rapidamente, e fuggirono con una immensa tristezza, al pensiero che tutta la loro vita di un tempo era crollata, e che avrebbero dovuto tentare, ciascuno per se, di riedificarne un'altra. L'inquietudine, la paura che avevano trattenute fino a quel momento, li vinsero adesso, poiché erano rimasti soli davanti all'ignoto in cui si avventuravano senza speranza di ritornare ». Auguste sposerà la biondina; Désirée, nelle ultime pagine del libro, riceve i regali e le felicitazioni per il suo matrimonio imminente con un operaio buon lavoratore; e questa soluzione tranquilla dà un senso di più amara, aspra, e stanca tristezza, che un suicidio, o la disperazione degli innamorati.

Les soeurs Vatard, mi pare l'opera più completa di queste della prima maniera; dal principio alla fine ci dà l'impressione di un quadro straordinariamente rigoroso della vita; contiene descrizioni mirabili di quartieri parigini, delle fabbriche, delle stazioni ferroviarie; contiene splendidi ritratti resi senza minuziosità e senza caricatura, come quello del padre Vatard, e non ha i difetti che cominceranno nel En ménage e che si accentueranno via via negli altri libri. Uno di questi difetti, la brutalità d'imagini, gli aggettivi scelti con cura tra le cose che fanno orrore o schifo, e che sono buttati lì sopra le righe anche quando non sono giustificati da niente, quando, per esempio, nei paragoni, stuonano coq l'altro termine di confronto, diminuirà e finirà per scomparire nei libri della seconda maniera; ma un altro difetto permane, e aumenta, anzi raggiunge il colmo nell'ultimo libro pubblicato, La Cathédraìe.

E questo è di rendere le descrizioni tanto particolareggiate, tanto minuziose, tanto sottili, che non si riesce più a concepire l'insieme della cosa, quando si è arrivati al termine di tutte quelle parole; e poi di supplire alle descrizioni, le quali dovrebbero essere una pittura delle cose come si riflettono nell'autore, con i loro piani, i loro punti d'ombra e di luce, per mezzo di un vero elenco di nomi, che delle volte sembra l'indice di un trattato sulle pietre preziose, o di botanica, dei martiri e santi del Cristianesimo.


*

Eccoci ora ad En ménage. André, un letterato, e il suo amico Cyprien, il pittore, ritornano a casa la notte, da un ricevimento. Cyprien, riallacciandosi i calzoni che si erano sbottonati (Huysmans ci dà questo particolare interessante, forse per la paura di non essere abbastanza nel realismo col primo capitolo), brontola per la noia che ha dovuto subire; compiange André perchè è ammogliato, e in conseguenza deve rassegnarsi spesso alle noie della società, caccia fuori una descrizione arguta, aspra e ironica delle serate di società, poi qualche paradosso sul matrimonio, e lascia il suo amico. André non doveva rientrare che la mattina, perchè aveva progettato di osservare, pel suo romanzo, l'effetto del macello alle prime luci; ma sta per piovere, fa freddo, e rientra in casa; e trova la moglie, con un amante, mezzo morto di paura. Non li uccide; si domina; accompagna il giovane per le scale; non dice nulla, e la mattina se ne va; riprende la vita di scapolo. Berthe, sua moglie, è costretta ritornare da certi zii Desableau: e Huysmans con l'ambiente di questi piccoli borghesi ci oifre una delle sue più belle descrizioni. André, quando si è un po'ammortita la scossa, crede di esser felice, vanta i piaceri della solitudine e del ritorno alla libertà, si riprometto un lavoro continuo e proficuo come negli anni precedenti il matrimonio; richiama la serva che aveva prima del matrimonio, e si diverte anche dei suoi difetti che saluta come amicizie antiche; passa molte ore con Cyprien che negli ultimi tempi si era un po'scostato da lui. Ma presto si sente un nodo di melanconia; sente il bisogno della donna, sente il bisogno di un po'di soavità; rievoca tutti i suoi amori, brutali amori di giovinezza, e poetici innamoramenti; va fantasticando di cose impossibili, imagina la sua vita se si fosse ammogliato con una bimba che gli era piaciuta all'uscir di collegio; poi si rimprovera di non aver perdonato a sua moglie, arriva a desiderare che una circostanza la riconduca da lui, poi vengono altre figure feminili, e il suo pensiero si arresta su Jeanne, « una brava e singolare piccola operaia, un po'incomprensibile, molto corrotta, e molto ingenua, in ogni modo affezionata a chi la manteneva, e piena di tenerezza ». Non l'aveva riveduta più; la ritrova, e ricomincia con lei la vita coniugale. Ma il giovanotto che la paga, e le fornisce così il mezzo di rimanere a Parigi guadagnando nulla, sta per sposarsi, e non la vuol pagare più; André non ha quattrini per mantenerla, e Jeanne, che ha trovato un posto in una fabbrica inglese, lo deve lasciare. « Ora la tristezza gravava su Jeanne e André. Questo pensiero: non abbiamo che alcuni giorni da vivere insieme, si imponeva e non li lasciava più; le angoscie di André giunsero a diventar così dispotiche, che sperò la partenza di Jeanne come una liberazione ». E la piccola operaia parte per Londra, lasciandolo triste e solitario; una sera in cui è piìi triste del consueto, suonano alla porta; è sua moglie, venuta per ottenere l'autorizzazione di una compera. A lui ritornano in mente le rarissime ore felici passate con Berthe, si commuove, l'abbraccia, e ritornano insieme.

Intanto Cyprien si era ammalato ; una donna, una brava e brutta donna, l'ultima delle sue facili conquiste, lo cura amorevolmente; Cyprien non è abituato a queste tenerezze femminili, gli dispiace di esserne privato alla guarigione, e decide di non staccarsi più da Mélie.

Una volta, si rivedono André e Cyprien, si parlano; e il libro, con queste feroci e melanconiche righe, termina : « Guarda, tant'è, e'è una cosa che manda all'aria tutte le morali conosciute; sebbene biforchino, le due strade menano alla stessa spianata. In fondo, concubinato e matrimonio hanno lo stesso valore, poiché ci hanno sbarazzati tutti e due dalle preoccupazioni artistiche e dalle tristezze della carne. Più nessun talento, e molta salute; che sogno!

« André scosse la testa soflBandosi. — Per Dio — esclamò ad un tratto contando i rintocchi che sgocciolavano dall'alto ad uno ad uno — è mezzogiorno; scappo, se no, Berthe s'impazienta.

« Strinse la mano al suo amico che ridendo mormorò:

« — Non è tanto male di essere vuotati come lo siamo noi, perchè adesso che son fatte tutte le concessioni, forse la eterna umana cretineria ci accoglierà, e simili ai nostri concittadini avremo il diritto di vivere come loro, rispettati e stupidi.

« — Che ideale ! — rispose André con un sospiro.

« — Lascia fare, questo o un altro... ! — disse Cyprien, che spronato anche lui dall'ora fuggì, come una gran cavalletta, rasentando, lungo la via, le vetrine ».

In questo libro lo scoraggiamento, la noia della vita, l'amarezza, si fanno più grandi; tante volte, come quando son narrati, persino con un lieve color di caricatura, il fuoco e la fantasia dei vicini nel calunniare, dopo la separazione, André; o quando si descrivono Desableau, capo divisione al Ministero, e la sua famiglia, sentiamo, indoviniamo una penna esacerbata, che gode della propria ironia, e che ha uno sfogo nel pessimismo. Paul Bourget (Essai de psychologie contemporaine) scrive di Baudelaire: «... il suo intenso sdegno della volgarità lo spinge a paradossi smisurati, e a mistificazioni laboriose. . »; io credo che di Huysmans si potrebbe scrivere: il suo sdegno per la vita, che gli sembra tutta volgare; il suo carattere, che lo rende incapace di appassionarsi di passione umana; il suo gusto, che gli impedisce interamente di capir la natura, così che non ha mai nessuna ammirazione per il paesaggio, quando non è costruito dagli uomini, lo spingono prima a questi libri, dove caccia fuori le sue sensazioni di stanchezza e di fastidio; dopo, a una ricerca ansiosa, ma incerta, di stranezze fra le quali si aggira a tastoni, fermandosi ora all'una ora air altra, senza ben sapere perchè, per il solo piacere di descrivere un fatto una sensazione anormali; e dopo in una via ben determinata di anormalità, alla ricerca di cose soprannaturali, dei misteri dell'occultismo, delle relazioni diaboliche. Che sia sincero anche qui come negli altri libri, che il suo spirito, certamente non equilibrato, creda alla potenza dei luciferiani, dei satanici, degli incantesimi, delle malie, qualche volta parrebbe. Qualche altra volta sembra impossibile, e tanto piìi quando vediamo citata la testimonianza di Diana Vaughan, e di Leo Taxil (1), che recentemente ha palesato le sue mistificazioni, cui solo la illimitata stupidaggine umana, e un po'anche l'ira di parte, hanno permesso di sussistere molto tempo.

Ma che sia sincero in questi libri, o che non sia, non importa; in tutte le maniere si è dato a questo genere di studi e di ricerche, per togliersi, almeno nelle sue occupazioni, alla vita comune, per il disgusto che la vita comune gli inspira. E in tutte le maniere, da questi studi, avviato sulla strada delle cose soprannaturali, finì a trovare un rifugio, non più solo per il pensiero e per i sensi desiderosi di novità, desiderosi di scuotere il fastidio, ma anche per l'anima, così maggiormente ansiosa d'amore, quanto maggiormente chiusa alla tenerezza e all'amore umano, nella religione, nella scienza mistica.


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Interrompiamo per un attimo l'esame dei suoi romanzi, e guardiamo due libri di critica d'arte: l'Art moderne, che è una serie di articoli del Voltaire, della Réforme e della Revue ìittéraire et artistique, pubblicati dal 1879 al 1881, e Certains, che è una serie di studi sopra alcuni pittori, disegnatori, acquafortisti, pubblicata nel 1889. Scritti nelle due epoche diverse delle sua vita, le rispecchiano come i romanzi; nell'Art moderne la sua ammirazione è per gl'indipendenti che tratteggiano con un pennello audace la vita odierna com'è; e per tutti gli altri, per quelli che dipingono cose convenzionali, cose di tempi passati, battaglie, scene d'amore, e che non si dimostrano completamente liberi da ogni influsso di scuola, completamente soggettivi, ha un biasimo feroce, molte volte violento, parziale, appassionato. E tuttavia in alcune osservazioni, e nell'ammirazione per Gustave Moreau, si può riconoscere i germi del mutamento che vedremo compiuto con Certains, dove sono rimaste la inimicizia salutare contro il convenzionalismo e il pastiche e il gusto per alcuno degli antichi protetti, Forain, Raffaelli; ma dove l'ammirazione si volge decisamente verso Gustave Moreau il quale «... per lo schifo della promiscuità che deve subire, si getta nel baratro dei tempi trascorsi, nello spazio tumultuoso degli incubi e dei sogni... »; sopra Cheret «... che ha il senso della gioia, ma di una gioia tale, che si può intendere senza essere abbietti, della gioia frenetica, e scaltra, e come ghiacciata della pantomima, di una gioia che la sua medesima eccessività nobilita, avvicinandola al dolore... »; sopra Wisthler «... che nell'armonia delle sue sfumature passa quasi i confini della propria arte, penetra nel paese delle lettere, e si avanza sulle rive melanconiche dove i pallidi fiori di Verlaine crescono...»; e Félicien Rops «...che ha celebrato quello spiritualismo della lussuria che è il satanesimo, e ha dipinto in pagine inarrivabili il soprannaturale della perversità, l'ai di là del male... »; sopra il meraviglioso e macabro e pazzesco Goya, sopra tutti quelli che possono eccitare il suo spirito stanco, e ardente di cose nuove e strane.

Cambiano e volvono a poco a poco i criteri artistici di Huysmans, con l'indirizzo, che cambia a poco a poco, del suo pensiero: potremmo seguire tutto il mutamento, con l'osservazione delle sue diverse opinioni architettoniche; le quali nell'En ménage sono la glorificazione della modernità in qualunque modo si manifesti; così che l'autore ammira le botteghe illuminate, gli avvisi sulle finestre scritti con gran lettere d'oro, i boulevards. Mentre nell'Art moderne (antivenendo così a tutta una scuola recentissima di architetti inglesi), Huysmans profetizza ed esalta il trionfo del ferro sulla pietra ; ma non ha più molti entusiasmi per i boulevards; e in Certains continua ad esaltare il ferro, ma in quanto alle altre costruzioni moderne le chiama « monumenti sciocchi, le di cui parti, prese in prestito alle diverse età, costituiscono Dell'insieme la piùservile parodia che si possa vedere». E la sua ammirazione per le costruzioni in ferro è rivolta specialmente alla sala delle macchine, « che ha preso la forma all'arte gotica, ma che è splendida, ingigantita, folle, impossibile a ottenere con la pietra, e singolare con i suoi piedi a calice ed i suoi grandi archi,..». E infine nella Cathédraìe tutto l'entusiasmo per la modernità è scom- parso, e tutta l'ammirazione è per la pura arte gotica e romana delle chiese...


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Ritorniamo ai romanzi. A rebours e il primo in cui l'autore si diletti e si sfoghi nelle stranezze; ed è come lo scoppio di una pas- sione lungamente e penosamente trattenuta, è come la reazione violentissima ad uno stato morboso di apatia, ed è incompleto, squilibrato, assurdo, ributtante; e poi colorito in modo straordinario, cesellato Delle descrizioni, qualche volta, nella sua assurdità, vivo.

L'intreccio è nullo. Des Esseints, un giovane signore annoiato, si ritira fuori di Parigi, in una piccola casa, che ammobiglia in modo raffinatissimo e originale, scegliendo colori che armonizzino alla luce di lampada, poiché dormirà sempre il giorno, e la notte veglierà. Gli piacciono soltanto le cose artificiali, « che gli sembrano il distintivo del genio umano », quindi la sua sala da pranzo pare la cabina di una nave, e per illudersi di essere in viaggio, vi inietta l'odor del catrame, e guarda curiosamente in un acquario il gioco di meravigliosi pesci meccanici, caricati come pezzi di orologeria ; possiede una collezione di liquori, e la chiama suo organo di bocca, perchè secondo lui il gusto di ogni liquore corrisponde al suono di uno strumento, «... il kummel alla cennamella; la menta e l'anisette al flauto che è insieme zuccherato e pepato, gemebondo e dolce; mentre il kirsch suona furiosamente la tromba...». Des Esseints vivacchia così, intingendo la carne arrostita nel thè; facendo ingemmare il guscio di una tartaruga con delle pietre preziose, tanto per dare a Huysmans l'occasione di un discorso sulle pietre; sfogliando i libri della biblioteca per dare a Huysmans l'opportunità di una dissertazione sopra gli autori latini decadenti del cristianesimo, e alcuni autori moderni, assai erudita ed abile nel rendere tutte le sfumature delle impressioni, e tutti i fascini del loro stile, e nuova, efficace negli aggettivi, ma con una scienza un po'ostentata ; facendosi ornare la casa di piante singolari, di tutta una verdura fantastica, per dare a Huysmans il modo di tracciare alcune pagine di una descrizione mostruosa così: «...i giardinieri portavauo delle altre varietà, e questa volta avevano l'apparenza di una epidermide fittizia, solcata di false vene; e la massima parte, come divorate dalla sifilide, tendevano delle carni livide marmorizzate di rossori, damascate di empitiggine; altre avevano il tono rosa vivo delle cicatrici che si chiudono, o il bruuastro delle croste che si formano; altre erano bollate da un incèso, sollevate da bruciature; altre erano pelose, solcate da ulceri, lavorate a sbalzo dai cancri ; alcune parevano coperte da medicamenti, da sugna nera mercuriale, da balsamo di belladonna, o punteggiate di grani di polvere, dal talco giallo della polvere di iodoformio... ».

Des Esseints a questo regime solitario e notturno si ammala, e questo disgustato della vita è terrorizzato di dover morire. La descrizione della sua paura è una delle cose forti del libro; Des Esseints guarirà, ma deve abbandonare il suo ritiro. A traverso tutto il libro, Des Esseints ha portato una vaga tendenza alla religione, più per amore degli scrittori sacri, e delle artistiche esteriorità delle funzioni cattoliche, che per convincimento: ora è stanco, spaventato, debole, e il libro finisce con una invocazione a Dio: « Signore, pietà del cristiano che dubita, dell'incredulo che vorrebbe credere, del forzato della vita che s'imbarca solo, nella notte, sotto un cielo non rischiarato più dai consolanti fanali dell'antica speranza! »

A questo romanzo segue En rade, per cronologia. Jacques, un altro che non è riuscito a niente nella vita, un altro disilluso, un altro cui piacciono i libri rari e gli studi più svariati, ma che non ha saputo dedicarsi a niente, per le sue cattive condizioni finanziarie si ritira con la moglie in campagna, ospite di certi contadini zii della moglie, e custodi di un vecchio maniero, dove gli forniscono una stanza. Questo è l'intreccio, e serve a dimostrare che nemmeno in campagna si può avere tranquillità; poiché dopo cento angherie dei contadini, cupidi e interessati, che fanno pagar le cose più che a Parigi, che annacquano il vino e rubano sulla spesa, dopo aver avuto la pioggia sui letti quando piove, le civette in stanza, e la moglie più malata di prima (la moglie aveva una strana, inspiegata malattia che dà l'occasione di tratteggiare delle crisi, dei gemiti, degli urli, delle convulsioni), dopo essersi annoiato ferocemente, Jacques decide di ripartire per la città.

In questo libro Huysmans ha voluto non abbandonare, come in A rebours. la dipintura della realità, pur mantenendo il gusto per le descrizioni di cose strane ; la potenza descrittiva in questo libro è ancora più forte; il vecchio castello rovinato, i corridoi, certi sotterranei, il giardino ormai quasi selvaggio, sono splendidi quadri, e il carattere dei due vecchi contadini, e di altre figure di contadini, accessorie, tendono forse lievemente alla caricatura, ma sono disegnati con uno spirito e con una facilità mirabili. Ma il difetto di tutti gli altri lavori, che si accentuava in A rebours, è anche pili grande in questo: tutto è subordinato alla descrizione, e quando non e'è mezzo di cavar fuori una descrizione con un pretesto plausibile, Huysmans ci racconta dei sogni, lunghi per tutto un capitolo, e i quali non hanno altro legame col romanzo che quello di essere sognati da Jacques; e così una volta riesce a descriverci un paesaggio fantastico della luna; un'altra, un palazzo meraviglioso, e una sala dove traggono davanti a un re da leggenda, una vergine, preparata per l'olocausto; e nella descrizione di questa vergine Huysmans si compiace, si indugia e realmente si mostra sottile artefice : «...il suo collo rimanea nudo, senza una pietra preziosa, ma dalle spalle alle calcagna una veste succinta la modellava, serrando le curve timide del seno, affilandone le punte brevi, delineando la incertezza ondulata del torso ritardando agli impedimenti del fianco, strisciando sulla curva esigua del ventre, scorrendo lungo le gambe riunite e indicate da quella guaina, una veste color di giacinto, di un violetto azzurro, occellata come una coda di pavone, macchiata di occhi con le pupille di zaffiro, nell'iride di raso di argento... ». E un'altra volta ci mena a traverso un sogno pauroso, dove riesce a toccare di magia e di satanismo, le quali cose, si capisce, incominciavano a occupare i suoi studi.

En rade conferma sempre più la completa negazione dello spirito di Huysmans a intendere la natura; poiché la scena del suo romanzo è in campagna, avrebbe avuto mille occasioni di descriverla, e invece quando ce ne dà una rara descrizione, come al solito non trova niente di meglio che rendere il suo pensiero paragonando le cose naturali alle artificiali : «... una nuvola bianca si alzava, cresceva di mano in mano, poi si estendeva e volava via come il fumo di una locomotiva... Più giù si vedevano gli uni sugli altri dei campi simili a tappeti screziati di foglio morte, chiazzati di ruggine, e delle strade interminabili salivano correndo fino ai piedi del bosco dividendo, come striscio di tela, quei quadrati di lana a colore... ».


*

Là-bas è il primo dei tre libri della conversione. Durtal, un letterato, il protagonista che ritroveremo anche negli altri due, e che rispecchia — si sente per la meravigliosa efficacia di questi libri — l'anima e il pensiero di Huysraans, non sa credere, ma vorrebbe ; «... qualche volta, dopo certe letture, quando il disgusto della vita cresceva, invidiava le ore di consolazione in fondo a un monastero, la sonnolenza di preghiere sparse nei fumi dell'incenso, i rifinimenti delle idee nuotanti alla deriva nel cantico dei salmi. Ma per godere quelle gioie dell' abbandono, occorreva un' anima semplice, un' anima nuda, e la sua era ostruita dal fango, macerata nel sugo concentrata di immondizie antiche... era ben ridotto a confessarsi che la religione è la sola che sappia ancora medicare col più morbido degli unguenti le piaghe più irritate; ma domanda una tal diserzione dal buon senso una tale volontà di non meravigliarsi di nulla, che egli se ne scostava, pur rimanendo a spiarla da lontano... ».

Così si riprende quella invocazione a Dio che finiva A rebours, e così in questo libro, anche se non si fosse potuto seguire lentamente a traverso gli altri, avremmo la spiegazione del cammino di Huysmans verso la fede. Il disgustato della vita ha il bisogno di rigettarsi in dietro nei secoli di poesia, di trovare una consolazione e uno scopo; l'artista è attirato dalle bellezze dei libri mistici, dalle armonie dei cauti, dai tesori della chiesa, dal fascino delle funzioni compiute davanti ai quadri di un gran maestro, sopra un altare coperta di tessuti spendidi, con dei calici e dei cibori di una inarrivabile oreficeria, spiritualizzate da una nuvola d'incenso odoroso. Ma è lunga il cammino per chi non ha una fede naturale, atavica, instintiva in se: non dobbiamo scordare che la tendenza di Huysmans, di Durtal, è mistica non religiosa; mistica se prendiamo misticismo, non nel senso proprio, teologico, nel quale Huysmans l'adoprerà, di dottrima per cui si deve ricercare Dio con l'amore piuttosto che con la scienza, e darglisi completamente, e rinunciare a se stessi, per non vivere che in lui e per lui, ma nel senso moderno. 1 religiosi credono prima di tutto nella Divinità, e nei suoi insegnamenti, e poi può essere che si compiacciano delle cose esteriori della fede; i mistici sentono prima un'attrazione d'artista per le funzioni poetiche e belle, o un desideria di affaticati e di pensatori per la vita di meditazione nella gran paco di un monastero, e poi, alcune volte, per questi amori riescono a amare la Divinità, e ad acquistare la sicurezza della fede; i religiosi non possono praticare che il culto di Dio, i mistici possono inginocchiarsi davanti a Satana, o almeno investigare curiosamente nel buio della scienza occulta. Huysmans va verso la fede, ma in questo libra si perde per la via, ed incespica, e barcolla nelle pratiche sataniche; in questo libro e'è una frase di des Hermie a Durtal che sintetizza le condizioni d'animo dell'autore : « Poiché è molto difficile essere un santo, non rimane che diventare un seguace di Satana. L'uno dei due estremi! L'esecrazione per l'impotenza, l'odio per la mediocrità, è forse una delle spiegazioni pili indulgenti del diabolismo ».

Là-bas è il più difficile da definire tra i lavori di Huysmans ; forse è il piìi interessante, il piii riuscito, e anche il pili incompleto di tutti: e'è come un'ansietà di dir molte cose, di esprimere delle grandi ondate di sentimenti e di sensazioni ; si affollano e pare che vogliano straripar dalle pagine mille e mille pensieri sopra le cose più diverse. Si accentua in questo libro l'abitudine di entrare negli argomenti, e di continuare nelle meditazioni, descrizioni, e ricerche più svariate, senza badare che ci si allontana dal romanzo sino a farne perdere la traccia. L'autore scrive: « Durtal pensava .. ., Durtal imaginava..., rivedeva... », e con questa semplice premessaci dà pagine che potrebbero essere di un trattato di filosofia, di teologia, o di arte. E le descrizioni, le analisi delle impressioni più sottili hanno una grande bellezza ed una grande profondità. Qualche volta sono lievemente ironiche, come quando parla del danaro; qualche volta paurose, come quando racconta la messa nera e le scene della vita di Gilles de Rais; qualche volta finissime ed efficaci dipinture, se rammenta i quadri dei primitivi, che l'entusiasmano, come la crocifissione di Mathaeus Grunewald: «... e sopra, la testa, e enorme ribelle, cinta da una corona disordinata di spine, estenuata, pendeva, socchiudendo appena un occhio smorto dove fremeva ancora una sguardo di dolore e di terrore; la faccia era montuosa, la fronte smantellata, le guance erano disseccate ; tutti i lineamenti, disfatti, piangevano, mentre la bocca aperta rideva con la sua mascella contratta dalle atroci scosse tetaniche. Il suplizio era stato spaventoso, l'agonia aveva distrutto l'allegrezza dei carnefici in fuga. Era il Cristo dei poveri, colui che si era assimilato al più miserabile di quelli che veniva a riscattare, ai brutti e ai mendicanti, a tutti quelli contro la cui bruttezza e la cui povertà inferocisce la viltà degli uomini. Ed era anche il Cristo più umano, un Cristo con la carne debole- abbandonato dal padre che intervenne solo quando non era più possibile nessun nuovo dolore, il Cristo assistito solamente dalla madre, che, come tutti i torturati, egli aveva dovuto chiamare con grida di fanciullo... ». Qualche volta sembra che dia un'anima anche alle cose, come quando scrive della polvere, o delle campane: « Bah, fece des Hermies, è utilissima la polvere: oltre ad avere im gusto di biscotti molto antichi, e un odore appassito di libri molto vecciii, è il velluto fluido delle cose, la pioggia fine, ma secca, che auemizza le tinte smoderate e i toni brutali, è anche la scorza dell'abbandono, il velo dell'oblio... ». «... Le campane... devono portare ai moribondi la voce consolante che li sostiene nei loro ultimi terrori ; poi sono come gli araldi della chiesa; la voce esterna, come il prete n'è la voce interna; dunque non sono un semplice pezzo di bronzo, un mortaio rovesciato che si scuota; e poi simili ai vini vecchi, le campane si raffinano invecchiando, il loro cauto diviene più largo e più docile, perdono il loro gusto agretto, il suono immaturo... E certo, disse Durtal, che quando la notte ero malato, aspettavo come una liberazione il richiamo delle campane la mattina. E all'alba mi sentivo cullato da un dolcissmo movimento, carezzato da una carezza lontana e misteriosa; era come una medicazione tanto leggera, e tanto fresca; ero sicuro che delle persone alzate pregavano per gli altri, e quindi anche per me, mi sentivo meno solo... Durtal cercava analizzare quel rumore che pareva facesse ondeggiar la stanza. C'era come una specie di flusso e riflusso di suoni; prima l'urto formidabile del batacchio contro il bronzo del vaso, poi una specie di trituramento di suoni che si diffondevano finemente schiacciati rotolando; e poi il ritorno del batacchio, di cui il colpo nuovo aggiungeva nel mortaio di bronzo altre onde sonore, che rompeva e rigettava disperse nella torre. Poi quelle sonate a distesa si spaziarono; pre.sto non ci fu che il brontolare di un immenso arcolaio; alcune goccie furono pili lente a cadere, e Carhaix rientrò ».

Nelle prime pagine di Là-bas, Durtal esprime le sue opinioni letterarie, che potrebbero essere un programma per questi tre libri, un programma quasi raggiunto in Là-bas, e dimenticato via via negli altri: « Bisognerebbe, diceva a se stesso, conservar la veracità dei documenti, la precisione dei particolari, la lingua ricca e nervosa del realismo; ma bisognerebbe anche attingere alle fonti dell'anima, invece di volerne spiegare i misteri con le malattie dei sensi. Il romanzo, se fosse possibile, si dovrebbe dividere naturalmente in due parti, saldate però, o meglio confuse come lo sono nella vita; quella dell'anima, quella del corpo; e si dovrebbe occupare delle loro resistenze, dei loro conflitti, delle loro intese. Bisognerebbe insomma seguire la grande via cosi profondamente scavata da Zola, ma sarebbe anche necessario di tracciare, in alto, un cammino parallelo, una nuova strada, di raggiungere gli al di qua, e i dopo, di fare insomma un naturalismo spiritualistico; sarebbe cosa ben più audace, pili forte, più completa».

Durtal è un romanziere, ma poiché questo genere di attività letteraria non era mai arrivato a soddisfarlo, ha intrapreso una narrazione storica, la vita del maresciallo Gilles de Rais. Con il pretesto delle meditazioni di Durtal, delle chiacchere insieme agli amici, e delle loro domande, a poco a poco, a interruzioni, si svolge anche d'avanti a noi il racconto di questa vita di un assassino sadico, dedito alla magìa, e alle pratiche sataniche cui domandava « scienza, potenza, ricchezza », e che complicava i più bestiali peccati contro natura con la ferocia più orribile e sottile. Nelle ultime pagine di Là-bàs è scritta (e par quasi un simbolo, un augurio, per la vita di Durtal) la conversione; Gilles de Rais deve espiare con la forca e le fiamme; ma va pentito alla morte ; e il popolo, cui aveva strappato i figli, prega per lui, e la mattina del supplizio canta dei salmi in chiesa, e promette, per il riposo della sua anima, di digiunar tre giorni.

Huysmans facendo pensare, scrivere, parlare Durtal, ci espone una dottrina completa del satanismo; da questo libro conosciamo le teorie manicheistiche, conosciamo quali stretti, indissolubili lacci avvincano le pratiche spiritiche più innocenti alle sataniche, conosciamo la teoria dell'incubato e del succubato, la storia della arti magiche nei secoli, e gli incantesimi... Passano d'innanzi a noi gli spogli di libri misteriosi del medio evo, le discussioni teologiche, le vite dei santi, gli esempi della perversione, la descrizione del peccato che fece bruciar Sodoma e Gomorra. Durtal è l'amante della signora Chantelouve, che lo conduce a vedere una messa nera, la messa dei satanici, dove sta, presso l'altare, un prete cattolico, che richiama la presenza reale di Dio nell'ostia consacrata, per infrangere e contaminare l'ostia, per invocare Satana, e bestemmiare Dio. La descrizione di questa messa, che si tramuta poi in un orrendo baccanale, arriva ad una forse non mai raggiunta brutalità; ma è tracciata con un'arte e una vigoria che piegano all'ammirazione. Fermi su queste pagine, non pare possibile che lo stesso autore, nello stesso libro, abbia descritto con la medesima vigoria l'abitazione di Carhaix, il suonator di campane innamorato dei suoi strumenti, in alto, nella torre dove è quasi perennemente rinchiuso. Poiché sono pagine che sembrano una cosa sacra.

Huysmans ha fede nel satanismo e nella magia? Non è della descrizione delle sue messe nere, e della veracità obbiettiva delle sue teorie diaboliche che dubitiamo: per quanto sembri impossibile ai nostri giorni, esistono persone e Società date a questo culto del Male; e se in gran parte non credono, e non fanno che cercare una eccitazione dei sensi pervertiti in quelle orgie di turpitudine, vi sono anche dei credenti. «... All'ospedale il dottor Luys trasferisce da una donna ipnotizzata a un'altra le infermità. È meno meraviglioso della goezìa, della sorte gettata dai maghi e dai pastor i? Una larva, uno spirito alato, non è cosa più straordinaria, infine, di un microbo venuto da lungi, e che avvelena senza che ce ne accorgiamo; l'atmosfera può trasportare degli spiriti come dei bacilli ». Così pensa Durtal. Huysmans, per arrivare alla religione, ha dovuto, anche non praticando, passar per la strana fede di queste arti magiche, o gli è bastato studiare, senza credere, questi misteri dell'al di là ?

En route: ritroviamo Durtal convertito, ma non libero di dubbi e di esitanze; non coraggioso al punto da rinunciare alla sua vita piena di peccati ; Durtal in una continua lotta interiore, e più solo, più stanco di prima, perchè sono morti gli amici des Hermies e Carhaix, Durtal è persuaso che la premeditazione di Dio, la grazia, lo ricondussero alla fede: « Cerco inutilmente di raffigurarmi le tappe per le quali sono passato... posso trovare qualche traccia: l'amore dell'arte, l'eredità, la noia di vivere; posso anclie ricordarmi qualche sensazione dimenticata d'infanzia; i cammini sotterranei delle idee, suscitati dalle mie stazioni nelle chiese; ma quel che non posso fare è riattaccar quei fili, e raggrupparli; quel che non posso capire è la improvvisa e tacita esplosione di luce che si è prodotta in me ». Ma pur con la grazia Durtal non riesce nemmeno a pregare: «... Sono invidiabili, diceva a se stesso, quelle anime che si possono rinchiudere così nella preghiera; come ci riescono? poiché non è facile, quando si pensa alle miserie di questa terra, adulare la misericordia tanto vantata di Dio! »

Durtal viene a conoscere l'abate Gevresin, un prete diverso dai soliti freddi preti, che insegnano un cattolicismo temperato : « poiché il cattolicismo non è quella religione temperata che ci propongono: non si compone soltanto di piccole divisioni e di formule, non entra tutto in anguste pratiche, in divertimentiui di ragazza vecchia... è ben altrimenti sublime, ben altrimenti puro! » E l'abate Gevresin si occupa della dottrina mistica, « che è l'arte, la essenza, l'anima stessa della Chiesa ». Quando Durtal si lamenta con lui delle esitazioni, delle lotte inutili, delle ricadute nel peccato, delle ripugnanze, non gli risponde niente altro che di pregare; poi, una volta, gli consiglia di ritirarsi otto giorni nella trappa di Nostra Signora de l'Atre. Durtal ha paura, resiste, non vuole, poi cede, e va.

La seconda parte del libro è tutta una meravigliosa descrizione del convento, e della vita di quei reclusi. Huysmans, nella prefazione di En route, accerta che è rigorosamente vera ; se è vera, dobbiamo pensare che tra i fumaioli delle officine e i fili telegrafici, qua e là si nascondano dei pezzi di medio evo, di quel medio evo religioso, buono, e ardente, che ci ha dato i Fioretti di san Francesco, la Leggenda d'oro, la Imitazione di Gesù. Se non è vera, rimane una grande opera d'arte.

Durtal che non aveva mai potuto decidersi a Parigi, adesso si risolve alla confessione o alla comunione. È un gran sollievo per lui avere liberata l'anima di tanti peccati; mala comunione non gli dà, la prima volta, quella gioia, quel fervore, quella sicurezza, che aveva sperato. Le tentazioni lo tormentano; e con un'arte sottile, malgrado gli sforzi per sviarne il pensiero, si propone tutti i quesiti più difficili del cristianesimo, tutto quel che può allontanar dalla fede. « Ed ecco un Dio infinitamente perfetto, infinitamente buono, un Dio che non ignora ne il passato, ne il presente, ne l'avenire: dunque non poteva ignorare che Eva avrebbe peccato; dunque l'una delle due cose: non è buono, poiché l'ha sottoposta alla prova, sapendo che non avrebbe la forza di resistere; o non era certo che sarebbe caduta, e allora non è più onnisciente, non è perfetto... La voce domandava: ti par giusto che generazioni non colpevoli espiino ancora, e sempre, la colpa del primo uomo? La voce insinuava con dolcezza: è tanto iniqua questa legge, che pare che il Creatore se ne sia vergognato, e che per punirsi della propria ferocità, e non farsi per sempre odiare dalla sua creatura, abbia voluto soffrir sulla croce, espiare il delitto nella persona del Figlio ! ... Ma Dio non ha potuto commettere un delitto e castigare se stesso ! — esclamò esasperato Durtal. — Se fosse così, Gesù sarebbe il Redentore di suo Padre, e non il nostro; è una follia!... Durtal chinò la testa... nessuna replica prevaleva contro la terribile frase di Schopenhauer: se Dio ha fatto il mondo, non vorrei esser Dio, perchè la miseria del mondo mi strazierebbe il cuore!... Se ancora la sofferenza fosse un antisettico dei delitti futuri, e un astersivo degli sbagli passati ! ma no, precipita ugualmente sui buoni e sui cattivi, è cieca! La maggior prova ne è la Vergine, che non aveva macchia e che non doveva, come il Figlio, espiare per noi ; dunque non doveva aver punizione e ha subito ai piedi del Calvario il supplizio chiesto da questa legge orrenda... ». Ma Durtal torua a comunicare, ed è liberato dalle tentazioni. Non così bene come i dubbi, le lotte, la tristezza, Huysmaus riesce a descriverci quella gioia. Perchè in tutti gli scrittori sono sempre meno forti le pagine che dicono la gioia, di quelle che raccontano le tristezze? forse non si trovano mai, nell'anima umana, molti esempi di gioia, così da poter parlare di una cosa nota ai propri sentimenti ?

Sono trascorsi dieci giorni, e Durtal con grande rammarico riparte.

Anche qui, col solito sistema, Huysmans ci racconta vite di santi, ci dà pagine e pagine di teologia, spoglia, e in verità con molto gusto, i libri mistici del medio evo, fa palesi le sue preferenze per santa Lidwina, per sant'Angela di Foligno, per santa Caterina di Genova o per Ruysbroeck; trova modo di scrivere che santa Ildegarda definisce l'arte « una reminiscenza cancellata a metà, di una primitiva condizione da cui dopo l'Eden siamo caduti », e che santa Caterina insegna come Gesù non interdica a nessuno il cielo, e come sia l'anima stessa, che stimandosi non degna di penetrarvi, si precipiti nel purgatorio spontaneamente; poiché non ha più che uno scopo, ritornare alla primitiva purità; un desiderio, raggiungere il suo ultimo fine annientandosi, annichilendosi, dileguandosi in Dio; e sopra tutto trova modo di descriverci le impressioni, nella sua anima, dei canti sacri. En route potrebbe essere uno splendido, profondo, poetico trattato di musica religiosa: « qui c'era come una tenerezza serafica di suoni; quella voce senza origine sicura, lungamente passata per la trafila divina, pazientemente modellata per il canto liturgico, si spiegava incendiandosi, divampava in mazzi virginali di suoni bianchi, si spegneva, si sfogliava in lamentazioni pallide, lontane, veramente angeliche, alla fine di certi canti... Durtal osservava nelle Benedettine questa stranissima sfumatura: finivano i loro gridi di adorazione, i loro gemiti di tenerezza, in un murmurc timido, troncato rapidamente, come se ritornasse indietro per umiltà, come se si nascondesse per modestia, come se chiedesse perdono a Dio di osare di amarlo... ». Durtal, alla trappa, ascoltava il Salve Regina, « cantato senza accompagnamento, senza l'aiuto dell'organo, da voci indifferenti a se stesse, e fuse in una sola, maschia, profonda voce, saliva con un'audacia tranquilla, si sollevava in uno slancio irresistibile verso Maria; poi faceva come un ritorno sopra se stesso, e la sua sicurezza diminuiva; procedeva più tremante, ma così docile, così umile, che si sentiva perdonato, e allora osava con dei richiami infocati domandare le delizie immeritate di un Paradiso ».


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La Cathédrale (se non pensiamo a La Bièvre et Saint-Séverin, una breve pubblicazione che risente di due epoche diverse della sua vita letteraria, e dove sono descritti con amore due quartieri antichi di Parigi, e che è tutta una polemica, tutta una lotta, tutto un anatema contro la modernità e contro ìes inutiìs ingénieurs di cui l'odio, per quanto ha serbato ancora il suggel dell'arte, è instancabile). La Cathédrale h l'ultimo libro comparso fin'ora, di Huysmans; è il libro che si conosce di più, del quale la critica ha più parlato, e che si mostra di apprezzare di piìi fra quelli che capiscono o dicono o credono di capire l'arte. Forse quest'entusiasmo è dovuto a un giro improvviso del vento della moda; torse è dovuto alla circostanza che negli anni di Là-bas e di En route, il gusto del pubblico non era preparato bene alla letteratura sacra, mentre ormai si può dire che tutto l'indirizzo letterario, con le sue tinte mistiche più o meno forti, ce l'ha abituato lentamente. Il pubblico è passato per le flebili descrizioni di Jérusalem di Pierre Loti, per la religiosità piuttosto piatta, volgarizzata a uso sesta colonna di giornale, di François Coppée, qualche volta, anche magari per il fuoco di Ruysbroeck l'Admirabile nella traduzione di Maeterlinck, e per le visioni pazzesche di Auguste Strindenberg; e così non ha guardato più come prima, la nuova opera di Huysmans, sospettosamente.

Certo anche La Cathédrale è un bello ed efficace libro; e il vigore e l'abilità della descrizione sono forse cresciuti; ma sono anche cresciuti a dismisura i difetti che dalle Soeurs Vatard in poi si andavano man mano accentuando. Il carattere di romanzo è perduto completamente; non e'è altro intreccio che questo : l'abate Gevresin è trasferito a Chartres; Durtal, per non rimanere solo, senza amici, senza il suo protettore, lo accompagna; e poi, per tentar di animare la propria freddezza religiosa, si decide a ripartire, o a rinchiudersi qualche tempo nell'abbazia di Solesmes. Ma il libro potrebbe essere riuscito anche senza avere i caratteri di un romanzo; molte altre cose ne guastano la buona impressione: le descrizioni sono arrivate al massimo della minuziosità; e sono tanti i particolari, è così lunga la serie degli aggettivi, è così lungo l'indugio intorno agli accessori, che alla fine si smarrisce il concetto di quel che dovevamo vedere. Ne abbiamo un esempio quando Durtal descrive la gran chiesa di Chartres, così come la guarda, prima nel buio, poi, a poco a poco, nell'albeggiare, poi nel trionfar della luce, prima come una massa incoerente, come una foresta, poi come in un rapido perfezionamento per la mano di un miracoloso artefice. Ci sentiamo spinti ad ammirare le descrizioni della luce che impone l'una l'altra apparenza alla chiesa; o delle guglie e delle statue che si svolgono quasi da un bozzolo di ruvidità e di oscurità; ma in ultimo, non riusciamo a figurarci tutto l'insieme della cattedrale.

E poi: Max Nordau rimprovera ai moderni di prendere i libri come pretesto per ficcarci le cose piii disparate, giudizi artistici, sogni, sensazioni, ricordi; io non credo che sia un male; mi par più interessante leggere sotto qualunque forma i veri moti del pensiero o dell'anima di alcuno, che le stentate narrazioni di fatterelli. Ma lo scrittore deve saper foggiare, disporre, unire tutte queste cose; io capivo, negli altri libri di Huysmans, anche le divagazioni che ci portavano lontano dal soggetto principale, poiché veramente nella realtà succede che il titolo di un libro, un'imagine qualunque, per concatenazione di idee ci facciano trascorrere atraverso mille pensieri; e questa mi pareva, anzi, una maniera nuova di scrivere sopra svariati argomenti, e di concepire con vigore e arditezza il realismo. Ma non so intendere piii il sistema della Cathédrale : l'autore si limita a far chiedere da uno dei personaggi: « Avete portato, secondo la promessa, il vostro articolo su frate Giovanni da Fiesole? leggetelo ». Oppure: « ... ma veramente che origine hanno i canonici? » Oppure a scrivere: « Durtal aveva cominciato un lavoro sulla fauna simbolica del medio evo ... ». E con queste preparazioni, ci sciorina uno studio sopra Giovanni da Fiesole, un resoconto storico sull'origine dei canonici, pagine e pagine dove è scritto che per Brunone d'Asti la colomba è il modello della pazienza, e l'effige dei profeti, per santa Mechilde è la semplicità del cuore di Gesìi, secondo Yves de Chartres simboleggia i predicatori, la vita religiosa attiva, in contrapposto alla tortorella che indica la vita contemplativa.

Qualche volta sono così ingenue le domande, così evidentemente messe li per dar pretesto a un'elocubrazione, che par di leggere un di quei libri per bambini dove è stampato: « che cosa è la pecora? che cosa è la pioggia? » e poi la definizione della pecora e della pioggia.

E un po'collegato a questo errore, un difetto che conosciamo già dagli altri libri, ma che è cresciuto nella Cathédrale, il tramutarsi frequente dei racconti e delle descrizioni in un elenco, in una lista di parole. Guai se Huysmans non avesse una particolare forza di aggettivo ! Poiché una delle doti caratteristiche di questo autore, è la colorazione nuova, incisiva, efficace della frase: la bellezza del suo stile non è tanto nell'armoniosità dei periodi (spesso non si cura di togliere le assonanze, le ripetizioni), quanto nella vigoria, e quasi direi nell'effetto grafico, o sonoro, musicale, della parola; per ogni sensazione, per ogni sfumatura di impressione trova le parole che la rendano viva; e scrivendo a lungo di impressioni che hanno pur molta analogia, non si ripete mai. Per questa dote che si manifesta dai primi lavori, riesce in questo libro a condurci senza stanchezza per pagine e pagine di decrizione della cattedrale. È uno studio da innamorato; di giorno, di notte la considera sotto tutti gli aspetti; in fondo è questo il soggetto vero del libro, e Huysmans riesce a animare ciascuna di quelle finestre, ciascuna di quelle statue, che per lui secondo le ore del giorno, secondo i raggi, secondo le agitazioni della sua anima, hanno un'altra espressione; e ne ricerca la storia, il simbolo, e par che ne voglia conoscere lo spirito, composto dai mille e mille spiriti delle preghiere pensate e mormorate sotto la loro protezione. «... Quella basilica era lo sforzo supremo della materia che tenta di farsi leggera, rigettando come una zavorra il peso assottigliato dei suoi muri, rimpiazzandoli con una sostanza meno greve e più lucida, sostituendo all'opacità della pietra l'epidermide diafana dei vetri... Era gracile e pallida, come quelle vergini di Roger Van der Weiden, che sono così filiformi, così frali, che volerebbero via, se non fossero ritenute quaggiìi dal peso dei loro strascichi e dei loro broccati... ».

Divagando dalla basilica, Huysmans ci parla di architettura in generale, dello stile romano « duro e dolente, che è l'allegoria della bibbia, il libro inflessibile di Jehovah, il Codice terribile del Padre » ; e del gotico « pieno di effusioni, e di grazia, pieno di umili speranze, che è un'allegoria dei vangeli, i libri di consolazione e di soavità... »; ci parla dei simboli e delle vite dei santi; come En route avrebbe potuto essere un trattato di musica religiosa, la Cathédrale potrebbe essere un trattato di architettura, e di simbolismo sacro. Qualche volta l'erudizione sembra un poco ostentata; ma è certo che questo libro dà l'impressione di un'opera robusta, studiata, costrutta; del resto non e'è alcun libro di Huysmans che non appaia come il lavoro serio e meditato di un'intelligenza forte.

Anche qui, ma non quanto in En route e in Là-bas, Huysmans analizza profondamente l'anima di Durtal ; le sue aridità, le sue incertezze, le sue debolezze sono disegnate così, che le sentiamo ripalpitare in noi; in quella splendida descrizione della messa celebrata al mattino, giù nella cripta della basilica, possiamo rivivere ogni pensiero di Durtal. Huysmans ha recato fin qui il sistema di tutte le sue opere anteriori: mentre gli altri, per trascinare a un'emozione e a un convincimento, riuniscono tutti i loro sforzi sopra un determinato ordine di idee, battono e ribattono sopra uno stato d'animo del personaggio, isolano per un poco una determinata passione da ogni altra attività dell'anima e del pensiero, come se non esistesse più niente altro; ed esagerano quella passione, buona o cattiva: Huysmans cerca di non discostarsi mai, nei movimenti dell'anima, dalla realtà; non si perita di mostrarla, non dico nelle sue bassezze, è cosa facile e solita, ma nelle sue indifferenze, nelle sue ore di contraddizione che sembrano distruggere tutto un edifizio di pensieri; nelle sue meschinità che pare debbano disilludere dalla bellezza di un carattere, nelle sue piccole gioie, che fanno dubitare della intensità di un patimento; se crede che la vita sia così, Huysmans mette vicino a un fremito di poesia, un'idea volgare, e non ha paura di diminuir l'efficacia della descrizione di una cosa santa, non depurandola da un accessorio umile o immondo, che vi abbia veduto nella vita reale. E così, per la convinzione di verità che riceviamo, i libri di Huysmans ottengono la loro grande efiBcacia. Io credo che se alcuno, ai nostri giorni, esita al bivio dell'ateismo e della fede, sarà piìi convinto e spronato dalle incertezze di Durtal, che dalle certezze ardenti della Imitazione di Gesù.

Huysmans di certo è una mente non equilibrata; alcuno dei suoi libri può non piacere, alcuno può anche dare un'impressione di noia; ma quando si conosce gran parte della sua opera, quando si è un poco addentro ne'suoi modi di sentire, quando non ci si spaventa più per le sue stranezze, deve vincere l'ammirazione; poiché in molte cose nessuno si è spinto più avanti, più in alto di lui. Ma Huysmans si permette appunto di non sentire come i nove decimi delle persone, e nemmeno come gli impeccabili e gli infallibili, grandi e piccini, della cosidetta scuola positiva moderna; e questo basta perchè gli impeccabili e gli infallibili stendano contro il gladiatore le braccia, pollice verso.

Abbiamo seguito Huysmans nel suo cammino alla fede. La fede è l'ultimo, il supremo rifugio, e ci vanno tutti gli affaticati; quelli che hanno un gran peso, un gran dolore, che non possono più portare soli; quelli che non hanno più niente che li interessi e li muova nella vita; quelli che sentono noia e vuoto intorno, o paura. Oggi vediamo che per massima parte le opere letterarie hanno una tendenza religiosa Potrebbe essere il seguo di un rinnovamento, di un avvenire piìi buono e piìi forte? I devoti risponderanno sì; per loro, in qualunque modo siamo richiamati a Dio, è sempre una grazia, un bene, e una promessa di tempi migliori. Io non credo: credo che un'epoca può essere forte e religiosa, quando è spontanea, innata la fede; ma quando si va, tardi, alla fede, perchè le nostre braccia non bastano piìi a sopportare il gravame delle delusioni e dei dolori, o perchè non troviamo più niente che ci interessi e ci leghi nella vita, vuol dire che siamo fiacchi o che non sappiamo pili avere una concezione sana e completa del creato, che non sappiamo più accettarlo e amarlo, come dovremmo, con le sue lagrime e i suoi sorrisi, per il solo fatto che esiste. E allora è un segno di debolezza e di imperfezione.


Maurizio Rava.



(1) Prefazione di H. a Le satanisme et la magie di J. Blois (sic).